3. RICONOSCIMENTO DELLE EMOZIONI ALTRUI.
L’empatia è una capacità basata sulla consapevolezza delle proprie emozioni, ed è fondamentale nelle relazioni con gli altri.
Più aperti siamo verso le nostre emozioni, e più abili saremo nel leggere le emozioni altrui. Anche se le emozioni non sono verbalizzate, le possiamo cogliere attraverso altri segni non verbali, come la voce, i gesti, la posizione assunta del corpo, l’espressione del volto, un silenzio, il tremito, l’arrossarsi in viso, eccetera.
L’empatia ha comunque una base fisiologica, la “empatia primaria”, che è risonanza involontaria tra i circuiti cerebrali di due individui.
Questa risonanza può non giungere alla coscienza: nella malattia detta Alessitimia, in cui si è sordi alle emozioni; ma anche negli psicopatici, soprattutto in quelli criminali. Anche in patologie minori, come il narcisismo, c’è una difficoltà/impossibilità ad entrare in risonanza con le emozioni altrui.
Daniel Stern, famoso psichiatra fenomenologo¹, osservò affascinato i piccoli, ripetuti scambi (contatto visivo, sorrisi, movimenti, suoni) che hanno luogo tra caregiver e bambino piccolissimo, e concluse che i fondamenti della vita emotiva vengono posti in questi momenti di grande intimità.
Egli chiamò questi momenti “sintonizzazzione”. In essi, il bambino può sapere che le sue emozioni incontrano l’empatia dell’altro, sono accettate e ricambiate.
Questi infiniti momenti di sintonizzazione e desintonizzazione plasmano anche le aspettative emotive con cui, da grandi, entriamo in relazione con gli altri.
Fin dal primo anno di vita, noi sviluppiamo la percezione che gli altri possono e vogliono condividere i nostri sentimenti; oppure non la sviluppiamo e anzi cresciamo con la dannosissima convinzione opposta.
La prolungata assenza di sintonia tra genitori e figli impone al bambino un costo enorme in termini emozionali. Quando un genitore non riesce a mostrare empatia con una gamma di emozioni del bambino (come gioia, tristezza, bisogno di essere abbracciato, paura, ansia), questi comincia a evitare di esprimerle, poi di provarle. Esse spariscono dal repertorio di emozioni che l’individuo può avere nelle relazioni intime, soprattutto se, durante l’infanzia, quelle emozioni continuano a essere apertamente o copertamente scoraggiate.
Per questo motivo, i bambini possono per esempio arrivare a preferire una gamma di emozioni infelici, se queste sono ammesse e ricambiate dal genitore.
Stern osservò che a soli tre mesi, i figli di madri depresse quando giocavano con lei mostravano un maggior numero di sentimenti di tristezza e collera, e molto meno curiosità e interessi spontanei: rispecchiavano lo stato d’animo delle loro madri!
Secondo le teorie psicoanalitiche, la relazione terapeutica fornisce un correttivo emozionale, un’esperienza riparatrice di sintonizzazione. Il paziente, anche se forse non ne è consapevole, può finalmente gioire della sensazione di essere riconosciuto e profondamente compreso.
È proprio l’empatia a generare l’altruismo e la collaborazione, garantendo così il buon funzionamento dei gruppi sociali.
Il prezzo da pagare per la mancanza di sintonia con le emozioni di un individuo in crescita può essere molto alto, anche per chi gli sta intorno: l’infanzia di coloro che compiono crimini efferati e violenti è segnata da trascuratezza emozionale: cresciuti in orfanotrofio o passati da una famiglia adottiva all’altra, questi bambini hanno avuto troppo poche opportunità di entrare in sintonia con gli altri.
Invece i bambini sottoposti a violenze psicologiche prolungate (come minacce crudeli e sadiche, umiliazioni, o completa miseria) possono sviluppare come reazione post-traumatica una vigilanza e una preoccupazione ossessiva per i sentimenti altrui.
In un programma di cura per molestatori di bambini e autori di crimini sessuali, in un carcere del Vermont, ai detenuti venivano letti strazianti resoconti di crimini simili ai propri, raccontati però dal punto di vista della vittima, che essi vedevano piangere in un video, mentre raccontava gli episodi di violenza subita.
Ai detenuti poi veniva chiesto di immedesimarsi nel ruolo della vittima, raccontandone i vissuti, o scrivendoli e recitandoli.
Gli autori di crimini sessuali che avevan.o partecipato a questo programma, dopo il rilascio incorsero nello stesso reato in misura dimezzata rispetto ai detenuti che non vi avevano partecipato.
È possibile istillare un senso di empatia anche in personalità violente; mentre è quasi impossibile che gli psicopatici sentano empatia.
Queste persone, attualmente diagnosticate come sociopatici, non provano alcuna compassione o rimorsi. Sono mentitori spregiudicati, e manipolano le emozioni della vittima. Hanno inoltre la capacità emozionale perversa di spaventare gli altri.
Uno studio sui più feroci mariti violenti ha rivelato un’anomalia fisiologica in questi soggetti: essi picchiano regolarmente la moglie, o la minacciano con armi..
Mentre i mariti violenti compiono gli stessi atti in preda a emozioni, come collera, gelosia, o paura di essere respinti e abbandonati, i mariti violenti psicopatici non sono in stato di stress, né in preda a furia quando picchiano le loro mogli. Sono in uno stato mentale freddo e calcolatore. Ne è prova il loro battito cardiaco: il battito cardiaco accelera quando si è in preda alla collera, e invece in loro rallenta.
Diventano più calmi dal punto di vista fisiologico proprio mentre il loro comportamento si fa più violento e antagonistico.
Mentre queste persone sono capaci di incutere terrore, essi non provano paura di fronte a una punizione, come normalmente accade quando una persona si aspetta di provare dolore.
¹ D. Stern, Il mondo interpersonale del bambino, ed. Boringhieri