Riporto di seguito il testo del mio intervento al Convegno “Educazione e Psicosintesi” che si è tenuto a Milano lo scorso 6 Ottobre, durante il quale ho parlato in virtù di psicoterapeuta specializzata nella cura del trauma e del trauma precoce.
Consideriamo che i mali del mondo non derivano da pulsioni malvagie verso il potere, il denaro, il sesso, la sopraffazione. Anzi: l’uomo nasce buono con impulsi solidali e cooperativi, è pronto a dare e ricevere amore. Vive nella relazione amorosa con la madre o il caregiver (con questa parola si intende chi ha costantemente cura del bambino).
Se questa relazione si interrompe, per l’insensibilità, l’indifferenza o la sparizione della madre, al bambino viene inflitto un trauma totale, che chiamiamo Ferita Primaria. Per il gran dolore i suoi impulsi vengono distorti e pervertiti.
Tale ferita si tramanda di generazione in generazione: se vogliamo conoscere e adottare una psicologia infantile che consenta alla nostra specie di essere quello per la quale è stata creata, cioè di evolversi in pace e cooperazione, dobbiamo parlare della ferita primaria e comprenderla bene perché non venga inflitta mai più.
Tutti noi abbiamo subito violazioni, abusi e negligenze, non siamo stati visti come individui, esseri umani, unici, ma come oggetti.
Le prime relazioni, le istituzioni e la società in genere non ci vedono come realmente siamo, ma come oggetti per i propri scopi. Questi sono tutti aspetti subiti dai bambini e traumatizzanti.
Per dirlo con il grande Martin Buber, siamo trattati come un “Esso è” piuttosto che come un “Tu sei”. Per conseguenza, siamo portati a considerare noi stessi, ed essere considerati dagli altri, come oggetti senz’anima, anziché soggetti sensibili dotati di volontà e pensiero quali siamo.
Con la Ferita, e lo ripeterò più volte, l’intrinseco, autentico senso di sé precipita nell’esperienza di annichilamento e non essere.
Comunque ci venga inferta, questa ferita costituisce una frattura nella rete di relazioni in cui viviamo. Viene tradita la nostra fondamentale fiducia e connessione con l’universo, diventiamo estranei a noi stessi e agli altri, dovendo lottare per la sopravvivenza in un mondo apparentemente alieno. Gli effetti della ferita primaria non fanno normalmente parte della vita umana: sono un errore nell’educazione che abbiamo ricevuto – e dato.
Negli ultimi cinquant’anni, sono state fatte scoperte rivoluzionarie riguardo al modo corretto in cui relazionarci con un bambino. Sì, perché, a differenza di quanto la psicoanalisi e la psicologia ritenevano, il bambino è capace di relazione e ne ha bisogno, specialmente con sua madre, fin dalla nascita: e ha bisogno di risposte.
Lo psichiatra e ricercatore Daniel Stern, nel suo testo ”Il mondo interpersonale del bambino” evidenzia che il fondamento dell’essere umano è una condizione relazionale sé-altro.
“Un neonato è qualcosa che non esiste” afferma lo psichiatra e pediatra Winnicott: un neonato può essere compreso solo in relazione con l’ambiente che lo nutre e lo supporta.
La connessione empatica con la figura affettiva primaria è l’elemento centrale della prima fase dello sviluppo del neonato. Una buona connessione con la madre viene anche chiamata rispecchiamento: il bambino è rispecchiato quando la figura di riferimento guarda il bambino e ne riconosce l’individualità e unicità “Quando incontro lo sguardo dell’altro sono visto, dunque esisto”, ha affermato il grande Winnicott, immedesimandosi con il bambino.
È vero anche l’opposto.
Se i genitori nel bambino anziché il bambino così com’è, con i suoi impulsi, emozioni e sensazioni, vedono le loro proprie aspettative, i timori, i progetti che hanno per lui/lei – o addirittura stanno pensando solo a loro stessi, in questo sfortunato caso negli occhi della madre il bambino vedrà riflesso un falso sé, una falsa immagine di lui/lei, corrispondente alle aspettative dei genitori – o vedrà il nulla.
Per Sé intendiamo qualcosa di più grande, più saggio, trascendente l’intelligenza e la dimensione umana. Questo flusso del Sé viene canalizzato verso il bambino dalla madre, dal suo calore ed empatia. Il bambino cresce senza traumi quando è arricchito, avvolto da Sé, che è impersonato dall’attenzione materna.
Il bisogno di questo flusso Io-Sé che la madre trasmette al bambino sintonizzandosi con i suoi bisogni e con il suo essere è stato finora ignorato. Possiamo chiamarlo sintonizzazione, anche se per molti di noi questa è una parola nuova. Il bambino ha bisogno di una madre sintonizzata con le sue emozioni e con le sensazioni del suo piccolo corpo; ha bisogno di rendersi conto che la madre lo vede, lo ascolta, prova quanto lui prova. È in sintonia con lui.
La sintonizzazione, d’altra parte, è un fenomeno naturale: quando una équipe lavora insieme, i parametri fisiologici si assestano sugli stessi valori . Non è solo, come abbiamo descritto qui sopra, il rispecchiamento dei vissuti, è anche un fenomeno autonomo del sistema nervoso di diverse persone che si sentono insieme.
A tutt’oggi molti genitori non sanno di questo bisogno di sintonizzazione; né che esso è per il piccolo un bisogno primario, pari al respiro per il corpo. Accade spesso che, molti genitori, chiusi in se stessi, non percepiscono ciò che sta loro intorno, e non abbiano la capacità di sintonizzarsi nemmeno tra adulti, oltre che con il loro piccolo.
L’assenza di sintonia con il neonato o il bambino è la causa del trauma: è quanto chiamiamo “Ferita Primaria”, con John Firman e Ann Gila, allievi di Assagioli, autori dell’omonimo libro.
Vediamo di comprendere subito la parola Primaria immedesimandoci con il neonato o il bambino, comprendiamo che il trauma è primario perché è l’impensabile, è l’infrangersi di un’unità invisibile che crea l’esistere, quella unità che è la relazione. Non avendo ancora il senso del tempo, l’esser abbandonati, da soli, anche per un breve periodo, fa pensare al piccolo che è stato abbandonato per l’eternità
Esistere è essere con: non si esiste da soli. Daniel Stern, lo psichiatra fenomenologo nei suoi studi approfonditi sulla mente umana oltre che sulla relazione madre-bambino, ha verificato che l’essere umano fa parte di una matrice intersoggettiva: le nostre menti sono in rete in questa invisibile matrice. La mente individuale è creata dalla matrice e a sua volta la crea.
Tutti noi inter-siamo, i nostri cervelli sono protesi gli uni verso gli altri. Perfino l’adulto, in completa solitudine, impazzisce.
Bambino: per Daniel Stern è una “Unità duale”con la mamma. Tutto ciò che lei sente e fa riverbera nell’animo del figlio.
I parametri fisiologici del bambino, come la frequenza del battito cardiaco, la pressione, la quantità di ormoni in circolo quando è in braccio alla madre, a contatto con la sua pelle, si sincronizzano con quelli di lei, prendono lo stesso ritmo, e il bambino prova equilibro e benessere.
Essere, è essere-con. Le nostre menti, sembrano separate, ma fanno parte della matrice intersoggettiva, per cui anche l’adulto ha bisogno di essere costantemente in relazione con i suoi simili: i nostri neuroni sono costantemente collegati ai neuroni dei nostri simili, protesi verso di essi. La parola inter-essere è stata coniata dal monaco Thich Nath Hanh, la cui saggezza è riconosciuta ormai in tutto il mondo. Essere, è essere con.
Dunque il bambino come essere umano individuale viene formato all’interno della relazione con la madre o il caregiver, la persona che ha costantemente cura di lui/lei. Questo è il terreno primario, quello che il trauma infrange. La Ferita è “Primaria” perché sottrae al bambino il senso di essere, la continuità, la relazione. Egli perde la vita.
Alla fine della seconda guerra mondiale il numero degli orfani era alto, e venivano accolti in orfanotrofi, dove però non avevano un unico cargiver, cioè una persona che si dedicasse costantemente a lui tanto che il bimbo e l’adulto potessero creare una relazione. R.Spitz, che osservò la vita di questi orfani, oltre a veri disturbi psicosomatici, scoprì che verso i sei mesi di età questi bambini morivano: non per una malattia specifica ma per uno stato di perdita di forze vitali, che lo studioso chiamò “marasma” .
La relazione è il terreno primario dell’Essere. La relazione implica che vi sia la sintonizzazione Questo significa, in una descrizione succinta, che la madre è attenta al bambino, lo osserva, riceve i suoi messaggi e gli fa capire che li ha ricevuti. Se lui sorride, sorride anche lei o gli parla, se lui borbotta o fa gridolini li fa anche lei, se fa un movimento, lo imita – non meccanicamente, bensì declinando a suo modo lo stesso tema del messaggio del piccolo: e lui sa che la mamma lo ha visto, che sono insieme. Le risposte sintonizzate da parte della madre sgorgano dalle capacità empatiche di lei, dal sentire ciò che il bambino sente, dal trovare che il figlio è simpatico, anzi meraviglioso. Dall’amore.
Ecco la celebre frase di Winnicott, il grande pediatra e psicoanalista che dice ciò che il bambino felice prova: “ quando guardo, mi vedo, dunque esisto”.
Quando guardo la mamma, quando mi rispecchio nel suo volto e nei suoi gesti o la persona che ha sempre cura di me, mi vedo, mi vedo riflesso in ciò che lei/lui dice o fa, sento che mi vede per quello che sono mi accoglie nel suo sguardo, mi approva: esisto in lei e per lei, siamo insieme, esisto.
John Bowlby, lo psicoanalista inglese che cominciò a osservare la coppia mamma-bambino, e creò una equipe di allievi che l’osservassero in vari momenti della giornata rovesciò il valore dei presupposti precedenti di una psicoanalisi in cui ci si limitava ad “analizzare” i ricordi dell’infanzia di un adulto.
Bowlby ebbe il merito di comprendere quanto l’educazione inglese fosse tragicamente errata e traumatica, e quanto danneggiasse la vita di un bambino (e lo stesso era vero per la psicoanalisi) S’indignò con entrambe perché comprese che il bambino ha un istinto che era stato ignorato fino ad allora sia dal senso comune che dalla scienza, il bisogno di Attaccamento, di una base sicura: la certezza di poter ricorrere alla figura di attaccamento, di solito la madre, nei momenti di difficoltà, smarrimento o per qualsiasi bisogno.
Il bisogno di attaccamento, cioè avere una figura di riferimento, è così forte da durare per tutta la vita. Marito e moglie sono figure di attaccamento. Come abbiamo detto a proposito della “matrice interoggettiva”, l’uomo, e tanto più il bambino, non esiste da solo.
L’errore madornale, vera e propria crudeltà per il bambino, era quello che egli/ella non avessero bisogno di questa costante disponibilità. Si pretendeva che il bambino fosse indipendente mentre il suo sistema nervoso e i mezzi locomotori ancora non glielo permettevano. È stato e, ahinoi, è ancora causa di un trauma terribile e invisibile questo profondo fraintendimento che, fra l’altro permetteva all’adulto di abbandonare il bambino solo, magari a piangere, nella disperazione infernale, senza nemmeno sentirsi in colpa,
Quando la mamma interrompe la relazione, è indifferente al bambino, non lo vede, non lo ascolta, non fa da specchio amorevole a quello che il bambino fa ed è, il bambino si sente frammentato, sente di non esistere, ha un’esperienza di morte: la Ferita Primaria è esperienza di morte, di annichilimento. È così insostenibile che si nasconde nell’inconscio del bambino, da dove continua ad agire creando sofferenza, rabbia, impotenza, insicurezza. Anche le malattie psicofisiche gravi possono essere originate dalla separazione o dal senso di separazione dalla madre. Tutta la psicopatologia, ha a che vedere con la Ferita Primaria.
Ecco perché la nostra specie è la sola, tra migliaia di specie, ad essere tanto squilibrata, poco solidale e cooperativa, persino crudele: perché siamo individui che da bambini hanno sofferto un senso di morte, un cadere nel vuoto, da cui sono rimaste emozioni ed impulsi penosi non più naturali e istintivi. Sono emozioni e impulsi che fanno soffrire, e per evitarne la sofferenza se ne sfoga la negatività contro gli altri, oltre che contro noi stessi.
Vi porto l’esempio di un filmato delle prime osservazioni madre-bambino, iniziate negli anni ’60 circa con John Bowlby e la sua equipe. Qui abbiamo un bambino, solo nella sua carrozzina (la carrozzina per Bolwby è uno degli aggeggi inventati per evitare l’intimità, la vicinanza col bambino, per distaccarsene). Ha visto la mamma. Comincia a fare movimenti entusiasti, versetti, le sorride e… la mamma non lo guarda, continua a rivolgersi ad altri. Vediamo il bambino spegnersi, rattrappirsi, fa silenzio, sta fermo, si guarda le manine come se fosse imbarazzato. Le sue onde d’amore sono andate a infrangersi contro il nulla dell’inanimato, rappresentato da una donna, sua madre, per il quale lui non esisteva!
L’altro istinto appaiato all’istinto di Attaccamento è l’istinto di Accudimento. Naturalmente, per istinto, in chi vede una creatura piccola, un bambino o un cucciolo, bisognoso, dovrebbe attivarsi l’istinto di Accudimento. Ma, come abbiamo detto, gli istinti umani sono stati sregolati dalla Ferita Primaria.
Il bambino ignorato è escluso dal terreno dell’Essere. Essere è una parola importante: perché la madre o il caregiver porta su di sé un carattere di divinità, la forza di un archetipo: dà la vita, non soltanto nutre e lava e veste. Il bambino si sente senza vita se la Dea madre è indifferente e lo ignora. Invito i genitori a riflettere l’importanza del ruolo che hanno per il piccolo: sono i portatori dello Spirito, della divinità che dà la vita.
Purtroppo molti adulti ignorano il figlio perché sono davvero incapaci di presenza mentale, di consapevolezza. Non sanno osservare, non si meravigliano di quanto è prodigiosamente bello un bambino piccolo, il loro, sono assenti e persi nei loro pensieri preoccupazioni, ambizioni…è il caso di chiedersi, prima di avere un bambino se sono pronto/a a dedicarmi a un’altra persona, molto diversa da me, che ha bisogno di me come se io fossi il suo Dio? Devo avere risorse di empatia, di generosità costante, perché i miei sentimenti, la mia presenza sono la vita per lui/ lei. Devo davvero essere presente per lui, dal cuore, fin dalla nascita sentire quanto vale per me. Questo atteggiamento di sintonizzazione nutre più del cibo: è “io sento come stai, so cosa stai facendo, e ti lascio capire che ti capisco, che sono con te, che hai un posto fondamentale nella mia vita e nei miei sentimenti”
Il punto più importante del messaggio che vi sto lasciando oggi è questo il perché l’umanità sia l’unica specie distruttiva e crudele, pur facendo parte della Natura, che è equilibrata e buona. A causa degli errori educativi l’essere umano non riesce a sviluppare la coscienza, la Consapevolezza, Mindfulness, come potrebbe e dovrebbe. Con la Consapevolezza può non seguire l’istinto, a differenza degli animali che hanno istinti perfetti complessi a cui sempre obbediscono. L’uomo non è un prodotto finito, mentre gli animali sono, ogni specie, completa.
Malgrado ogni bambino umano nasca per essere amorevole e solidale, l’umanità è così separata, competitiva, infelice, ha perso l’istinto di collaborazione. Ecco perché il normale istinto di affermazione, che è un istinto per il bene di tutto il gruppo umano, spesso diventa invece un senso perverso di aggressività.
Siamo sull’orlo della catastrofe ambientale perché da secoli feriamo i nostri piccoli, quasi sempre senza saperlo. Perché i nostri genitori ci hanno feriti, perché i genitori dei nostri genitori a loro volta non sapevano che il bambino ha questo bisogno di relazione, di sintonizzazione, di potersi costantemente attaccare al genitore, il quale, col pretesto di farlo crescere, lo tiene invece lontano da sé…
Scrive la Miller:
“quando in seguito nell’adulto emergono durante la terapia i sentimenti infantili di abbandono, ciò avviene con una sofferenza e una disperazione di tale intensità che ci risulta evidente che quel bambino non sarebbe sopravvissuto al proprio dolore. Per sopravvivere avrebbe dovuto poter contare su quell’ambiente empatico, assecondante che gli era mancato.”
Una guarigione, o almeno un miglioramento che lenisca la ferita è possibile. Se il bambino incontra un adulto che fa le veci di Centro unificatore, cioè una figura come quella di una buona madre, di mediatore tra le forze superiori del sé e il bambino: un parente, lo stesso padre, una maestra, un sacerdote, un amico, un insegnante: qualcuno che lo comprende profondamente, lo guida, lo rispecchia, lo ama.
E per quanto riguarda gli adulti la cui ferita non è stata curata? per quanto molte volte copriamo il dolore con la rabbia, i nostri dolori, le nostre emozioni penose, il senso di vuoto, la svalorizzazione di sé, sentire di non avere alcuna meta, un senso d’impotenza, le compulsioni, alcool droga, sesso shopping hanno tutti origine in un’infanzia ferita.
Sapete a quanti anni inizia l’impulso perverso a dominare i propri pari, quell’impulso che in certi gruppi sfortunati diventa bullismo, se non delinquenza?
La ricercatrice Mary Ainsworth, basandosi sulle idee di Bowlby, ideò una serie di esperimenti che consistevano nella separazione momentanea del bambino dalla madre e poi subito il ricongiungimento. La Ainsworth individuò sperimentalmente, a seconda dei loro comportamenti, tre categorie di bambini di un anno di vita: quelli sicuri, quelli insicuri di tipo evitante e quelli insicuri richiedenti.
Già a un anno di vita certi bambini, quelli insicuri evitanti, vogliono dominare i compagni; altri bambini, anch’essi feriti, insicuri richiedenti si lasciano dominare. Ci sono poi fortunatamente, bambini sicuri di sé che vanno per la loro strada senza bisogno di dominare o farsi dominare.
I bambini insicuri evitanti erano stati maltrattati dalla madre, perfino picchiati. Quando la madre ritorna nella stanza, in questi bambini si accelera il battito cardiaco – si emozionano ma, a differenza degli altri bambini, non le corrono incontro. Fanno già “i duri”. I bambini insicuri evitanti hanno una madre imprevedibile: talvolta risponde al loro bisogno d’amore, altre no. Magari copre il bambino di coccole quando lui/lei stava giocando e non aveva nessun bisogno di essere coccolato. È una madre che manca, insomma, di empatia.
La convinzione profonda che il bambino sicuro ha sulla vita è piena di fiducia: il mondo è un posto buono dove ci si prende cura dei miei bisogni, la gente è affidabile, io sono buono e bravo. Al contrario il bambino insicuro pensa che il mondo non si prenderà cura di lui, che lui non interessa agli altri, e che lui non è bravo e meritevole.
Queste visioni, dette MOI, modello operativo interno, condizioneranno tutti i comportamenti del bambino. A meno che non intervenga un Centro Unificatore Positivo, come un bravo psicoterapeuta, o altre forze portatrici di salute.
Qui ci sta bene un episodio narrato da Bessel van der Kolk, il maggior studioso mondiale del trauma. Parla di un suo grande maestro, Elvin Semrad, che gli insegnò che la maggior parte della sofferenza umana è legata all’amore e alla perdita.
“Ricordo la mia sorpresa nel sentire questo illustre professore di Harvard confessare quanto si sentisse confortato, durante la notte, dal contatto del sedere di sua moglie accanto a lui. La condivisione di questi semplici bisogni umani ci aiutò a riconoscerne la basilare, ma necessaria rilevanza, per la vita di tutti noi.”
Troppi genitori e troppi insegnanti non conoscono il bisogno di sintonizzazione e di rispecchiamento del bambino e non hanno idea degli effetti distruttivi che ha tale assenza.
Poiché finora siamo stati tutti più o meno educati senza validi Centri Unificatori, è il caso di chiedersi: che si fa stando così le cose?
Dobbiamo lavorare su noi stessi. Dobbiamo imparare a conoscere le nostre emozioni per poter intuire empaticamente le emozioni degli altri. Dobbiamo amare noi stessi per poterci aprire agli altri. Dobbiamo rivolgerci a uno specialista della psiche, un bravo psicoterapeuta che sappia che bisogna metter la relazione profonda al primo posto nei contatti fra tutti gli esseri umani, terapeuta e paziente compresi.
Impariamo, come auspicano Firman e Gila, a dare valore al bambino, comprendere quello che prova, dargli una meta o più mete a sua misura, incoraggiarlo, dargli sicurezza soddisfacendo i suoi bisogni. Dialogare, dialogare molto col bambino per confortarlo e renderlo consapevole di sé.
Impariamo ad avere questo stesso atteggiamento nei confronti di noi stessi, o degli altri adulti, per poterlo avere nei confronti del neonato, quella creatura misteriosa, che porta ancora con sé lembi di cielo ma che ha un cervello e delle sensazioni diversissime dalle nostre.
Il bello di questo dramma mortifero della Ferita Primaria è che ciascuno può invece portare un flusso vivificante ai bambini con cui viene in contatto, o anche agli adulti: possiamo giocare il ruolo del sé, impersonare per l’altro il centro unificatore, e l’altro impersonarlo per noi. Due flussi divini che si incontrano. Lasciando cadere la competizione, l’indifferenza, la voglia di prevaricare che è prevalsa nelle ultime migliaia di anni.
Chi ha a che fare con i bambini, dai parenti alle maestre d’asilo ai professori del liceo, dagli psicoterapeuti ai sacerdoti, deve sentirsi in dovere di apprendere ad avere orecchie che ascoltano davvero, occhi che guardano in profondità, un cuore aperto, mani che sanno stringere e accarezzare. Dobbiamo diventare un’umanità nuova per poterci tutti , finalmente, risanare.